La memoria della guerra: i cimiteri di guerra, i monumenti

La Memoria della Guerra: i Cimiteri di Guerra, i Monumenti


La Grande Guerra acquisì ben presto il senso di un grande mito collettivo e fondante per lo Stato italiano. Il fascismo, che nel mondo degli ex-combattenti aveva profonde radici, contribuì a sostenere una memoria della guerra che, sulla scia di letture dannunziane e nazionaliste, la leggeva in una prospettiva “sacra”. Una memoria plasmata secondo una religione della Patria fondata sull’esaltazione dell’eroismo e del culto dei caduti.

A ciò corrispose una monumentalizzazione della memoria della guerra, con la realizzazione di tantissimi cippi e monumenti a ricordo di unità militari, di episodi di guerra, di singoli caduti.
Inoltre diventò centrale la cura dei molti cimiteri di guerra che erano disseminati lungo la linea del fronte. Spesso frutto della necessità di dare una degna sepoltura in un contesto di grande provvisorietà, i cimiteri andavano riorganizzati.

Questa miriade di piccoli luoghi di sepoltura non era facilmente gestibile, e, anche per ragioni sanitarie oltre che per garantire una adeguata memoria dei caduti, si procedette allo smantellamento dei tanti piccoli cimiteri ed alla progressiva costruzione di sacrari di dimensioni a volte notevoli.

Nel 1923 venne inaugurato dall’allora presidente del Consiglio Benito Mussolini, che sul Carso aveva combattuto, il “Cimitero degli invitti” sul Colle Sant’Elia. Si trattava del più grande cimitero di guerra italiano dell’epoca, capace di raccogliere oltre trentamila salme di soldati della III Armata, molte di ignoti, in una struttura particolarissima: tombe scavate nella roccia, molte contrassegnate da un piccolo cippo con qualche oggetto del soldato e con alcuni versi di Giannino Antona Traversi (già volontario di guerra e poi a capo dell’ufficio propaganda della III Armata). Sulla sommità del colle capeggiava una cappella con sopra una grande croce rossa che si accendeva di notte. Un girone dantesco, molto fragile, non troppo eroico ed estremamente evocativo.

Sarà il Regime fascista che, con la volontà di accentrare ulteriormente gli ancora molti piccoli cimiteri rimasti, procedette alla realizzazione del monumentale Sacrario sul Monte Sei Busi inaugurato nel 1938, proprio davanti al Colle Sant’Elia, su progetto degli architetti Greppi e Castiglioni:
una monumentale scalinata, preceduta dalle tombe dei generali della III Armata, a partire da quella del Duca D’Aosta, il quale dopo la guerra si era stabilito nel Castello di Miramare.

In Regione altri sacrari vennero realizzati ad Oslavia (presso Gorizia), Caporetto (nell’alta valle dell’Isonzo allora italiana), Udine (il Tempio Ossario), Timau (per i caduti in Carnia).

Accanto alla Basilica di Aquileia già durante la guerra venne realizzato un cimitero, il “Cimitero degli Eroi”, da cui nel 1921 partì la salma del milite ignoto.

Più difficile invece la memoria dei soldati austroungarici: i cimiteri non vennero monumentalizzati come gli ossari (detti “sacrari” in ragione della necessità di onorare la “religione” della Patria) italiani.

Solo dopo molti anni ai figli di queste terre caduti con la divisa austro-ungarica si cercò di dare una adeguata memoria. In Regione cimiteri militari austroungarici si trovano a Fogliano Redipuglia, Brazzano, Aurisina, Prosecco, Palmanova, Valbruna.

Una sola donna è sepolta al sacrario di Redipuglia: si tratta di margherita Kaiser Parodi, crocerossina volontaria decorata con la medaglia di bronzo al valor militare, morta a 21 anni di febbre spagnola dopo la fine delle ostilità, nel dicembre 1918. La sua tumulazione prima nel Cimitero degli Invitti e poi nel Sacrario ricorda anche l’impegno di tante donne al seguito degli eserciti nel corpo della Croce Rossa

MILITE IGNOTO. Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, madre di Antonio Bergamas volontario irredento che morì combattendo per l’esercito italiano nel 1916 il cui corpo non venne ritrovato, fu chiamata il 28 ottobre 1921 nella Basilica di Aquileia a scegliere tra 11 salme provenienti dalle diverse zone di guerra quella del soldato ignoto che sarebbe stata deposta ai piedi dell’Altare della Patria a Roma. Il viaggio del feretro del milite ignoto da Aquileia lungo l’Italia fino a Roma fu uno dei momenti di più sentita celebrazione della vittoria italiana.

MILITE IGNOTO. Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, madre di Antonio Bergamas volontario irredento che morì combattendo per l’esercito italiano nel 1916 il cui corpo non venne ritrovato, fu chiamata il 28 ottobre 1921 nella Basilica di Aquileia a scegliere tra 11 salme provenienti dalle diverse zone di guerra quella del soldato ignoto che sarebbe stata deposta ai piedi dell’Altare della Patria a Roma. Il viaggio del feretro del milite ignoto da Aquileia lungo l’Italia fino a Roma fu uno dei momenti di più sentita celebrazione della vittoria italiana.

La nuova toponomastica

La Grande Guerra ha lasciato tracce nella toponomastica locale. Un paese, Sdraussina, nel 1923 ha visto il suo nome cambiare in Poggio Terza Armata; il Comune di Fogliano è diventato nel 1939 Fogliano-Redipuglia in virtù del Sacrario. Anche Ronchi di Monfalcone è diventato Ronchi dei Legionari dopo l’impresa di Fiume, ma in questo caso è stato il locale Consiglio comunale a fare la richiesta. In territorio ora sloveno, al di là dell’italianizzazione dei toponimi, in alcuni casi al nome del paese venne collegato un ricordo della guerra: così Vrtojba divenne Vertoiba in Campi Santi, Bate Battaglia della Bainsizza, Selo Sella delle Trincee. Moltissime sono ancora oggi le strade dedicate ai luoghi della guerra, ai generali italiani o a singoli caduti. Soprattutto nel Friuli Orientale molte sono state anche le scuole dedicate a protagonisti della guerra, sempre solo a combattenti sotto le insegne dell’esercito italiano.