Il fronte dell’Isonzo

Il Fronte dell’Isonzo


I primi mesi del 1917 il fronte italo-austriaco non registrò particolari sussulti, anche a causa del rigido inverno. Inoltre l’esercito italiano aveva necessità di nuova artiglieria pesante e di rinforzi che sarebbero dovuti arrivare dagli alleati. Questi però non ritenevano prioritario il fronte dell’Isonzo, e quindi non approvavano l’idea di spostare uomini e mezzi dal fronte occidentale, mentre cercavano di sostenere un accordo complessivo per una strategia comune. Viste le difficili condizioni dell’esercito, il generale Cadorna decise di posticipare l’offensiva italiana: il morale delle truppe era basso dopo i pesanti sacrifici chiesti nei mesi precedenti; non mancarono episodi di ammutinamento, finiti con aspri provvedimenti disciplinari (anche con la decimazione). All’interno del paese si moltiplicarono le manifestazioni contro la guerra.

Quindi, una volta passato il rigido inverno, Cadorna intendeva avviare una pesante offensiva con lo scopo di raggiungere al più presto Trieste. Punto iniziale doveva essere uno sfondamento all’altezza di Gorizia. Venne anche organizzato il Comando d’Armata della Zona di Gorizia, con a capo il generale Capello, salutato dalla stampa come il conquistatore di Gorizia, ma spesso appellato tra i suoi uomini come “il carnefice”. Capello doveva sfondare sia sull’altopiano della Bainsizza sopra Gorizia sia sul Carso oltre il San Michele, con un potenziale bellico notevolmente superiore a quello schierato dagli austriaci. La III Armata comandata dal Duca d’Aosta doveva invece sfondare sul Carso verso Trieste, dopo che Capello fosse riuscito nell’intento di avanzare nei dintorni di Gorizia.

Per l’Austria la difesa dell’Isonzo stava divenendo prioritaria rispetto al fronte russo. Tanto più che lo Stato Maggiore percepiva che la strategia offensiva condotta in quel momento da Cadorna avrebbe favorito alla lunga gli italiani. Perciò gli austriaci cercarono di mettersi nelle condizioni migliori per difendersi. Nel complesso però la forza militare italiana, che appariva poderosa sulla carta, rivelava in realtà profonde carenze nell’organizzazione interna e nella preparazione generale di ufficiali e truppe.

Il Fronte dell’Isonzo

DECIMA BATTAGLIA (12 maggio – 5 giugno)

Dopo aver ammassato uomini e mezzi a ridosso del fronte, all’alba del 12 maggio l’esercito italiano aprì il fuoco su tutto il fronte da Tolmino fino al mare. Il 14 maggio iniziò l’avanzata nella zona di Gorizia, in particolare verso Plava, con lo scopo di raggiungere la Bainsizza.
L’assalto massiccio alla testa di ponte di Plava difesa dalle mitragliatrici austriache ebbe buon esito, nonostante perdite che raggiunsero il 50% degli organici di alcune Brigate. Poco più a sud venne anche raggiunta la cima del Monte Santo, a lungo obiettivo
degli attacchi italiani, ma tenuta per poche ore. Anche gli altri tentativi nella valle del Vipacco non ebbero esito positivo.
Gli attacchi dei giorni successivi portarono gli italiani, con molta fatica e tante perdite, ad avanzare molto lentamente sul bordo dell’altopiano della Bainsizza, conquistando alcune posizioni difese strenuamente dagli austriaci a corto di uomini. L’Imperatore Carlo d’Asburgo in quei giorni sul fronte annunciò che la V Armata sarebbe stata chiamata Isonzoarmee a ricordo e riconoscimento dell’eroica difesa. Gli Austriaci tennero le posizioni con grande difficoltà, in attesa dell’arrivo di rinforzi dal fronte russo.
Nella prima settimana di combattimenti gli austriaci contarono almeno 30.000 perdite. Sicuramente superiori furono le perdite italiane, anche se non disponiamo di dati precisi. La prima fase della battaglia vide l’esercito italiano conquistare alcune cime, ma non il Monte Santo, principale obiettivo dell’attacco. La seconda fase, a partire dal 23 maggio, ebbe come teatro il Carso. La III Armata avviò un cannoneggiamento pesantissimo. In una giornata gli italiani lanciarono un milione di proiettili di artiglieria, con una media di centomila granate all’ora, provocando effetti devastanti nelle linee austriache. Al fuoco seguì l’avanzata della fanteria che ottenne subito notevoli successi, visto lo stato non certo buono delle truppe austriache, costrette a ripiegare sulle linee di difesa più interne. I combattimenti si fecero feroci per alcuni giorni, tanto da sfiancare entrambi i combattenti. L’avanzata italiana portò alla conquista di diverse alture del Carso ad est di Monfalcone e del villaggio di Jamiano. L’esercito italiano cercò di sfondare anche verso San Giovanni di Duino e Medeazza, fino a superare per poco il Timavo. Anche Gabriele D’Annunzio prese parte ad uno degli ultimi attacchi italiani (che si rivelò un’impresa suicida per i soldati impegnati: tra questi anche il Maggiore Giovanni Randaccio, che aveva seguito le
indicazioni del poeta nel combattimento).
A giugno iniziò la controffensiva austriaca, partita dal monte Hermada, chiave d’accesso per Trieste. Le conquiste italiane vennero perse, anche per la stanchezza accumulata dalle truppe italiane. Anche nella zona di Gorizia poche furono le posizioni mantenute. Nel corso della Decima battaglia diversi furono gli scontri aerei, nei quali ebbero la meglio i militari italiani. Nel complesso si trattò di una battaglia sanguinosissima, con perdite consistenti da ambo le parti. L’Armata dell’Isonzo stava vacillando (aveva perso 90.000 uomini, il 60% dell’organico): l’Austria sembrava non essere più in grado di sostenere battaglie del genere. Cadorna riteneva la Decima battaglia un successo, nonostante le modeste conquiste, le terribili perdite (160.000 uomini il 60% degli organici) ed il morale basso delle truppe.

UNDICESIMA BATTAGLIA (18 agosto – 13 settembre)

In Italia il malcontento era diffuso. Inoltre a seguito della guerra sottomarina lanciata dalla Germania diminuirono pesantemente le importazioni di carbone. A Torino una protesta popolare fu sedata dall’esercito (41 i dimostranti uccisi). Anche all’interno dell’esercito non mancarono episodi di ammutinamento, come quello della Brigata Catanzaro avvenuto il 15 luglio 1917 a Santa Maria La Longa, sedato con la decimazione. Molti disertarono. Cadorna continuò
a tenere insieme l’esercito con il terrore.
Nell’estate del 1917 vennero organizzate speciali truppe d’assalto, sul modello delle Stoßtruppen austriache: gli Arditi.
A maggio gli alleati chiesero all’Italia di colpire con due nuove offensive l’Austria. Cadorna riuscì a garantirne solo una, in risposta a quanto era successo nel corso della Decima battaglia dell’Isonzo.
Nonostante gli sforzi italiani, gli austriaci erano riusciti a tenere sopra Gorizia gli altipiani di Tarnova e della Bainsizza, che permettevano loro di muovere facilmente le truppe e di mantenere le posizioni sulle
alture a Nord della città. Verso Trieste invece l’Hermada rappresentava un baluardo ancora inespugnato. Ad agosto ripresero le ostilità. Cadorna voleva sferrare un nuovo pesante attacco su tutto il fronte, da Tolmino all’Isonzo. A tal fine aveva concentrato gran parte delle truppe lungo questa linea.
Nei piani di Cadorna la II Armata doveva conquistare la Bainsizza, oltre al Monte Santo e al San Gabriele, e sfondare a Tolmino, mentre la III Armata doveva aprirsi la strada verso Trieste, in sostanza riprendendo il disegno strategico iniziale.
L’esercito nonostante le pesanti perdite di maggio era cresciuto: vennero utilizzate le nuove reclute del ‘98 e le armate rinforzate con nuovi pezzi di artiglieria. Cadorna poteva contare su 530.000
soldati di fanteria (1.246.000 soldati in tutto) su un fronte di 50 km. Il rapporto tra italiani e austriaci era di tre a uno.
Nei primi giorni di agosto diversi attacchi aerei italiani avevano colpito i depositi e i comandi austriaci, tanto che vi fu un tentativo di contrattacco aereo verso Venezia, che non ebbe risultati.

Toscanini sul Monte Santo

Mentre imperversava la battaglia per la conquista del San Gabriele, dalla cima del Monte Santo una banda militare (26 agosto) cercava di incitare i soldati italiani con motivi patriottici e militari. La banda era diretta da Arturo Toscanini, direttore d’orchestra già allora di grandissima fama e ardente patriota, che cercò con questo suo gesto di sostenere lo sforzo bellico (aveva anche un figlio tra gli ufficiali che stavano combattendo). il concerto si svolse sotto il fuoco austriaco

Il 18 agosto l’esercito italiano aprì il fuoco e cercò di porre subito teste di ponte sulla riva sinistra dell’Isonzo, puntando ad attaccare la Bainsizza, col tentativo di rompere il fronte austriaco ed isolare il San Gabriele e l’Hermada. Il generale Capello, dopo diversi tentativi, con la II Armata occupò definitivamente la Bainsizza (22-23 agosto: decisione austriaca
di ritirarsi dall’altopiano) e il Monte Santo (lasciato congiuntamente alla Bainsizza).

Il Comando austriaco, viste le difficoltà, dovette arretrare le truppe ed individuare una nuova linea difensiva più lontana dalla città. Le stremate e ridotte truppe austriache non avrebbero retto un’ulteriore offensiva, che però non venne sferrata. La presenza di nuove truppe d’assalto, gli Arditi, favorì la momentanea conquista del San Gabriele, il principale presidio difensivo austriaco ai margini dell’altopiano della Bainsizza. Sanguinosissima la battaglia per la cima (“il monte della morte”) duramente difesa da pochi ma motivati austriaci. Alla fine la cima rimase in mano austriaca, con un sostanziale nulla di fatto. Gli sforzi difensivi austriaci invece si concentrarono sull’Hermada, che proteggeva Trieste.

Grazie anche all’arrivo di nuove truppe dalla Galizia, questo tenne e l’esercito italiano non riuscì a conquistarlo. Nel complesso si trattò della più articolata operazione militare italiana, che portò gli austriaci vicini ad una crisi. Solo in questa battaglia l’Italia perse 166.000 uomini (tra morti, feriti e dispersi) mentre gli austriaci 110.000 mila.

La consapevolezza da parte austriaca di non riuscire a reggere un ulteriore urto indusse la richiesta di un concreto aiuto in termini di nuove truppe all’alleato germanico, ora che la tensione sul fronte orientale si era ormai allentata.

Il Carso a San Giovanni di Duino.

Il Carso a San Giovanni di Duino.