Caporetto

Caporetto


La Dodicesima battaglia dell’Isonzo è passata alla storia italiana come la disfatta di Caporetto.

Cadorna in un primo momento intendeva sferrare l’attacco decisivo all’esercito austriaco a breve dopo l’Undicesima battaglia, prima dell’inverno. Era però consapevole che le perdite subite sulla Bainsizza avevano indebolito anche l’esercito italiano. Quindi, vista anche l’indisponibilità di un aiuto concreto da parte alleata, non ritenne opportuno procedere ad una nuova offensiva.

Dall’altra parte del fronte, dopo la resistenza sostenuta a fatica negli scontri di agosto, l’Austria-Ungheria chiese un aiuto diretto all’alleato tedesco anche per il fronte dell’Isonzo. Il momento era propizio visto che sul fronte orientale la situazione era favorevole e, dopo l’ottobre 1917, questo non avrebbe più rappresentato un problema per gli Imperi centrali.

Oltre a nuove truppe austriache fatte affluire dalla Galizia, arrivarono quindi contingenti tedeschi. Berlino, davanti alla vittoria italiana sulla Bainsizza, ritenne di dover correre in soccorso dell’alleato austriaco, la cui capitolazione avrebbe compromesso l’esito della guerra.

Il primo piano d’attacco prevedeva l’offensiva sopra Tolmino: correttamente si immaginava che sul fronte alpino la difesa italiana sarebbe risultata debole, anche perché le postazioni austriache erano poste sempre più in alto rispetto a quelle italiane. Così la XIV Armata Austro-Tedesca (formata da due corpi tedeschi e due austriaci) guidata dal Generale von Below con i migliori ufficiali dell’esercito si mise segretamente in viaggio per raggiungere il fronte dell’Isonzo. Il Comando Supremo austriaco decise di sferrare un’offensiva, la prima dopo undici tentativi italiani.

Rapidamente austriaci e tedeschi prepararono l’artiglieria, senza farsi notare dagli italiani. Le truppe furono spostate sul fronte con molta cautela, per non dare nell’occhio. E tutto ciò riuscì.

Anche l’aviazione venne mobilitata e resa molto più efficiente; ebbe un ruolo importante per confermare gli obiettivi. L’esercito italiano, pur disponendo di un potenziale bellico maggiore, risultava peggio organizzato e soprattutto si stava preparando per l’inverno, non attendendosi alcuna offensiva. Non era la guerra difensiva lo scopo dei generali italiani, in particolare di Capello. Inoltre Cadorna attuava una linea molto dura, sollevando gli ufficiali che non erano disposti a seguirlo. Solo a metà ottobre
si iniziò a percepire da parte italiana che vi era movimento tra le linee nemiche, ma, anche a causa di incomprensioni tra gli alti comandi italiani, non si attuò una seria iniziativa volta a rafforzare le difese. Lo stesso Capello si prese alcuni giorni di riposo, anche perché le ipotesi di attacchi nemici non destavano preoccupazioni.

Il 24 ottobre alle 2 dopo la mezzanotte gli austrotedeschi aprirono il fuoco sull’alto Isonzo utilizzando anche i gas (cloro e fosgene). Le maschere antigas in dotazione agli italiani si rivelarono inutili, con drammatiche conseguenza tra i soldati.

All’alba, dopo la pesante preparazione, attaccò la fanteria. Una improvvisa bufera di neve rallentò le operazioni sulle cime più alte, ma gli austriaci avanzarono.

La mattina del 25 attaccarono in direzione di Caporetto che, occupata dagli italiani all’inizio della guerra, cadde in mattinata (venne preso integro il ponte in pietra che avrebbe garantito il passaggio dell’artiglieria). Numerosi italiani si arresero. Su tutto l’alto Isonzo la difesa italiana non fu capace di rispondere, anche per colpa dei comandi. Vista la situazione, il 27 ottobre, Cadorna ordinò la ritirata.

ROMMEL E LA CONQUISTA DEL MATAJUR

Tra i tanti episodi di guerra legati ai giorni di Caporetto merita un accenno quanto fece il giovane ufficiale tedesco Erwin Rommel, che sarebbe diventato nel corso della seconda guerra mondiale uno dei più importanti generali della germania nazista (la Volpe del Deserto). Nell’ottobre del ’17 guidava un battaglione di truppe di montagna. Aveva ricevuto ordini di avvicinarsi al Matajur, la montagna delle Prealpi Giulie sopra Cividale il cui possesso avrebbe garantito la buona riuscita dello sfondamento. Rommel impose ai suoi sottoposti una dura marcia in montagna; arrivato al dunque non obbedì agli ordini (gli si chiedeva di aspettare), ma con un’azione ardita riuscì a prendere la cima della montagna. Nonostante l’insubordinazione, il suo atto di guerra sarebbe stato in seguito premiato con una medaglia. Rommel poi proseguì nei giorni successivi la sua avanzata raggiungendo in pochi giorni il Cadore. Nel complesso durante l’avanzata riuscì a fare prigionieri ben 9.000 italiani.