La guerra sul Carso: guerra di Trincea

La guerra sul Carso: guerra di Trincea


Posto tra le Alpi Giulie e il mare Adriatico, il fronte orientale divenne lo scenario di uno dei più significativi scontri tra l’esercito austroungarico e quello italiano; in particolare, nel 1915 l’alta e la media valle del fiume Isonzo furono teatro delle operazioni, nel tentativo degli italiani di prendere Gorizia per giungere, attraverso la vallata del Vipacco, sino a Lubiana ed ancora verso il cuore della stessa Austria.

L’avanzata avrebbe potuto produrre effetti molto positivi per le forze sabaude, che tra fine maggio e metà giugno penetrarono in territorio austriaco per occupare il territorio di Cormons, Gradisca, Monfalcone, Cervignano e la bassa friulana, inclusa l’isola di Grado, superando una resistenza insignificante; le cose, invece, andarono diversamente, perché gli austriaci riuscirono a persuadere il nemico di disporre di forze difensive molto più efficienti e temibili di quanto non fosse la loro effettiva situazione, grazie ad un uso abile della riserva e delle milizie territoriali.

Dopo gli iniziali tafferugli, le prime grosse perdite da parte italiana si registrarono nella zona tra il monte Calvario ed il Sabotino, altura posta a nord di Gorizia, ove persero la vita circa 2.000 soldati, tra l’8 e il 10 giugno, ma la svolta arrivò quando l’offensiva
fu costretta ad arrestarsi proprio lungo l’Isonzo, dinanzi al presidio austriaco, agevolato dalla posizione vantaggiosa in altezza e composto da capisaldi e trincee muniti di reticolati di filo spinato e postazioni d’artiglieria. I sanguinosissimi combattimenti che a più riprese videro i due eserciti nemici fronteggiarsi per oltre due anni passarono alla storia con il nome di “Battaglie dell’Isonzo”: si trattò di ben dodici azioni belliche di varia durata (la più lunga, la decima durò ben ventiquattro giorni, tra il 12 maggio e il 5 giugno 1917; la più corta, l’ottava, tre, dal 10 al 12 ottobre 1916) tutte caratterizzate da un ingente numero di vittime da ambo le parti.

Nonostante la “guerra di posizione” fosse una realtà oramai assodata in gran parte d’Europa, il primo anno dell’Italia nel conflitto ebbe un impatto scioccante che incise profondamente sul morale delle truppe e dell’intera società in armi: le trincee – camminamenti scavati nel terreno per consentire il movimento e la protezioni dei soldati – divennero il simbolo di questo nuovo modo di combattere la guerra di massa.

Le truppe furono costrette a lottare tra reti di filo spinato, esposte all’azione devastante delle armi da fuoco automatiche capaci di falcidiare in pochi istanti decine e decine di uomini, oppresse dal senso di insuperabilità di apparati difensivi pressoché inespugnabili, mentre gli avanzamenti per conquistare pochi palmi di terra venivano pagati a caro prezzo, in termini di costi umani. L’impiego delle nuove tecnologie militari rese infatti incolmabile il divario tra difesa ed offesa, riducendo al massimo le capacità offensive per stabilizzare la rigidità dei fronti, una delle principali novità di questa guerra.

BOMBARDA

Arma da fuoco di origini antiche che fu utilizzata come pezzo d’artiglieria da tutti gli eserciti in guerra tra il 1914 e il 1918. Fu particolarmente adatta alla guerra di trincea per spezzare i reticolati di filo spinato aprendo il varco all’assalto della fanteria. Composta da una bocca di fuoco collocata su un affusto, di dimensioni variabili, al pari della capacità di tiro, poteva essere smontata per essere facilmente spostata e rimontata in prima linea o nascosta nelle trincee. A seconda del calibro, la bombarda poteva sparare bombe di diverso peso da poche decine di metri sino ad un mas simo di 4 chilometri. Fu una delle armi più diffuse ed utilizzate sul fronte austro-italiano, dal Trentino al mare Adriatico.